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Se oggi siamo tutti nelle mani di Tremonti Prodi: “Non ho accesso ai dati di bilancio il ministro li sta tenendo ben nascosti…” Manovra da 25 mld prescinde da mercati Torniamo a chiedere: come sono i conti?

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Una misura del capo del dicastero di via XX settembre passata (quasi) sotto silenzio è l’internalizzazione degli osservatori sui conti stessi: ovvero ora è il ministero dell’Economia, solo, che produce e monitora, e quindi conosce, il reale stato del bilancio pubblico. In Grecia una condizione di questo tipo è stata la premessa perché il governo potesse falsificare i conti al momento della richiesta di ingresso in Europa, così che l’Unione si trovò a considerare in una situazione economica accettabile un Paese che in realtà era già molto più avanti sulla strada della bancarotta, e che a (veri) numeri dichiarati non avrebbe potuto entrare nell’euro. La vera causa della crisi di questi giorni che ha messo – e mette – in discussione la tenuta della stessa moneta unica e che ha suggerito agli altri Paesi manovre di stabilizzazione dei loro bilanci nel contenimento della crescita del debito. Quella manovra che anche l’Italia si appresta a fare, ma solo per una piccola quota a questo scopo: un’altra notizia passata inosservata è che Tremonti è stato abilissimo a cogliere al balzo la palla (è proprio il caso di dirlo?) delle strette degli altri governi europei e del timore per un possibile (rischio-)default per compiere quella nuova finanziaria di aggiustamento che qualcuno aveva lasciato trapelare si sarebbe dovuta fare, a giugno, e che Tremonti stesso aveva smentito. E che era annunciata di dimensione ben inferiore (si parlava di 8 miliardi) a questa di 25 che ora ci stiamo preparando a “subire”. “Subire” perché è evidentemente necessaria per rimettere in sicurezza il bilancio. Ma a prescindere da eventi di questi ultimi tempi che non hanno (ancora) provocato grossi danni. Se si mette questo a sistema con la prima notizia, ovvero la mancanza di trasparenza – come denunciava, ieri sera a Otto e mezzo, anche l’ex presidente del Consiglio – non si può che giungere alla conclusione che Tremonti non la diceva giusta sullo stato dei conti, che ora verranno sistemati, sì, ma a prezzo di gravi sacrifici per tutti gli italiani. Sacrifici che chi sarà costretto a subire si disporrà a sopportare per il bene proprio e del Paese, del quale è parte integrante e dalla cui tenuta dipende anche la sua condizione, com’è giusto e necessario che sia in un Paese che appartenga ai cittadini che dunque hanno la responsabilità di condurlo avanti, anche sostenendo economicamente ciò che le istituzioni e gli apparati del loro stesso Stato fanno per ciascuno di essi, cioè di noi. E che tuttavia inducono ad una richiesta: ministro Tremonti, ci dica la verità sullo stato dei conti. Soprattutto ora. Il governo ha altri tre anni di legislatura, nei quali, pure fatto questo aggiustamento, può accadere di tutto. E’ necessario, perché tutti quanti possiamo contribuire a governare (anche) la nostra economia, ovvero a parteciparvi responsabilmente, chi come “esperto”, chi come cittadino, che conosciamo esattamente il nostro stato di salute. Non lo tenga per sé ministro Tremonti. Il Paese oggi è nelle sue mani – e lo vedremo meglio anche con il prossimo servizio – ma è bene che non lo tenga (tutto) per sé. O rischiamo di perderlo. Tutti. In tutti i sensi. Il servizio su cosa è accaduto in Grecia proprio per via della falsifica- zione dei conti, all’interno, è di Stefano Catone. 

Nella foto, Giulio Tremonti: voluttuoso

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di Stefano CATONE

Partiamo con una breve premessa. Volendo semplificare in maniera estrema, le entrate di uno Stato corrispondono alla tassazione che lo Stato stesso impone ai propri cittadini, e che dipendono dalla quantità di beni prodotti e dai redditi realizzati. Tutti gli Stati hanno cercato un’ulteriore fonte di entrate indebitandosi, chi con i propri cittadini, chi con altri Stati. Il debito, ovviamente, deve essere ripagato, concedendo anche un certo interesse al creditore. Ciò che differenzia l’Italia dalla Grecia, diminuendo notevolmente il rischio di default (impossibilità di ripagare il debito) italiano, è che il debito italiano è per la maggior parte contratto rispetto agli stessi cittadini, storicamente grandi risparmiatori (lo Stato italiano è indebitato con gli italiani, quindi gli italiani sono indebitati con gli italiani), mentre il debito greco è in mano, soprattutto, a investitori provenienti da Germania, Francia, Svizzera e Austria.

Nel momento in cui uno Stato risulta incapace di ripagare il debito si attiva una spirale: gli investitori fuggono, sottraendo risorse con le quali ripagare il debito. Lo Stato dovrà quindi ripagare il debito solo attraverso i soldi prelevati, sotto forma di tassazione, ai propri cittadini. Tutto ciò viene aggravato dalla situazione congiunturale di crisi economica e finanziaria: per vedere la luce in fondo al tunnel è necessario che l’economia cresca, che i cittadini producano più redditi, quindi più entrate per lo Stato, con le quali “stabilizzare il bilancio”. Purtroppo in Grecia non si vedono segnali di crescita ma, anzi, il PIL è in diminuzione. Il deficit di bilancio 2009 si aggirava attorno al 12,5% del PIL, ed esistono stime che fanno pensare che il deficit 2010 potrebbe arrivare al 15% del PIL. Il Trattato di Maastricht prevede, per le economie europee, un rapporto tra deficit e PIL non superiore al 3%, e questo basta a rendere l’idea della dimensione del problema.

Queste sono le ragioni di base della crisi greca, ma esiste anche un retroscena. Come ha fatto la Grecia a non incorrere nelle sanzioni europee, data una gestione del bilancio catastrofica? Ed ecco che entra in gioco Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, che – stando a quanto riportato dal quotidiano tedesco Spiegel – avrebbe aiutato la Grecia a mascherare il debito attraverso l’emissione di alcuni strumenti swap.

Stefano Catone


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