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Diario politico. Alla fine i conti tornano (?) Presto o dopo via altri 5 miliardi di spesa Tremonti dice e non dice su come vanno Mentre in molti precipitano in un tunnel Sì ad una “grande riforma”. Ma dell’Italia

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La nota politica quotidiana de il Politico.it. La prima firma è Carmine Finelli. E siccome il giornale della politica italiana non pone questioni a vuoto, non ci limitiamo a lanciare il sasso ma facciamo avanzare anche la mano, rilanciando ancora una volta l’idea di fondo che sta alla base della nostra “proposta” (che costituisce naturalmente un altro contributo offerto alla nostra politica): fare del Paese un grande “campus” (universitario) a cielo aperto, che coinvolga tutti (ora vediamo in che senso), in cui la stella polare sia l’innovazione in funzione della competitività e quindi anche (per) la soluzione della crisi di prospettiva che ci aspetta nel confronto con le potenze (economiche) emergenti; la cui chiave di volta è – ecco il punto – un sistema di formazione permanente retto dallo Stato e dalle aziende in stretto rapporto, naturalmente (tocca a loro di impostare e coordinare il “lavoro” – è proprio il caso di dirlo), con università profondamente rinnovate e “liberate”, per il quale chi non ha lavoro non è “disoccupato” bensì “studia” per formarsi a nuovi lavori – che sarà chiamato a fare – parte appunto dell’innovazione, sostenuto – solo se accetta l’impegno formativo – da uno stipendio che sostituisce la cassaintegrazione e anche l’eventuale sussidio di disoccupazione che si trasformano, così, in una sorta di “borsa di studio” (appunto) cessando quindi di essere un provvedimento-tampone a fondo perduto – anche se di grande utilità sociale – e trasformandosi invece in un investimento che produce ricchezza (progressiva). Tutto questo contribuisce a risolvere, in larga parte, il problema sociale del lavoro, ci consente di puntare adeguatamente sull’innovazione che balza al centro del nuovo sistema-Paese, coinvolgendo risorse altrimenti destinate al sociale e dunque ottimizzando la spesa in questo senso, producendo ricchezza sul medio e soprattutto sul lungo periodo, in un circolo virtuoso determinato dalla sempre maggiore competitività dovuta all’innovazione stessa, con l’effetto, peraltro, di far impennare il livello di alfabetizzazione (in senso ampio) del Paese, cosa che non può non contribuire a sua volta alla crescita e a rifare dell’Italia un grande Paese. Tutto questo per (riba)dire che in piena crisi economica è ora di occuparsi dell’Italia e non più (o non solo) della sua politica (autoreferenziale), le riforme istituzionali possono aspettare se non si riesce contestualmente (e prioritariamente) ad affrontare i problemi del Paese; perché, lo diciamo ad Europa, che critica oggi in un suo editoriale il nostro punto di vista condiviso anche da alcune parti della politica italiana, il problema non è elettorale ma sostanziale, diciamo tutto questo perché il Paese ha bisogno e non perché tutto questo debba portare un qualche ritorno in termini di consensi a chicchessia, di cui a noi non importa. Nostra politica che ha il dovere – invece – di occuparsi di ridare un futuro a questo Paese (contemporaneamente, così, risolvendo i problemi di oggi). Trastullarsi su se stessa non ci darà modo non solo di uscire dalla crisi economica di oggi, ma nemmeno da quella storica di un’Italia che perde ogni anno posizioni in tutte le classifiche, a fronte di un patrimonio, umano e culturale, che le potrebbe (le potrà) consentire di tornare ad essere quel grande Paese, culla della civiltà che è stato nella sua Storia. Il racconto, all’interno, di Finelli.

Nella foto, un momento di formazione al lavoro

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di Carmine FINELLI

Giornata politica ricca quella odierna. Si parte subito con l’Economia e con Giulio Tremonti che evita (o meglio rimanda) la “manovrina” di aggiustamento per i conti dello Stato. E poi, al centro del dibattito sempre le riforme. Infine, ancora polemiche tra il Csm e l’Esecutivo. Insomma una giornata pregna che riaccende le luci sulla politica italiana, spenti a causa delle elezioni prima e delle vacanze pasquali poi.
Dicevamo della manovrina. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti avrebbe infatti avuto intenzione di aggiustare i conti pubblici con una leggina ad hoc. Secondo fonti ufficiose, la manovrina sarebbe stata inizialmente prevista per giugno. Per farla però occorrerebbe reperire, per le sole spese correnti almeno, 4-5 miliardi di euro, che al momento non ci sono. Da finanziare ci sarebbero, prime fra tutte le voci di spesa, le missioni all’estero per il secondo semestre 2010. L’ammontare della manovra potrebbe anche crescere. Il decreto di aggiustamento sarebbe però un aggiustamento su base triennale, come già avvenuto per la finanziaria 2009.
Sulla fuga di notizie interviene però il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a conferma dell’”l’impegno del Governo con la Commissione Ue per una correzione dello 0,5% del Pil sul 2011″. Tremonti in relazione proprio alle indiscrezioni circolate per quanto concerne una manovra bis, ha risposto ai giornalisti: “Confermiamo l’impegno con l’Europa e smentiamo le vostre voci”. La correzione del deficit tendenziale 2011 dovrebbe essere realizzata con la “legge di stabilità” chiosa Tremonti.
Il sottosegretario Giuseppe Vegas, smentisce come Tremonti le voci che circolano. “Mai saputo niente” dice Vegas. Ad ogni modo, le stesse fonti ufficiose che avevano fatto trapelare la notizia riferivano successivamente che l’ipotesi sarebbe stata avanzata mercoledì dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante una riunione di partito.
Sul fronte dei conti pubblici la situazione sarà più chiara tra qualche settimana. A fine aprile dovrebbe essere presentata la Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica, documento di aggiornamento del quadro macroeconomico dell’Italia. L’ultima modifica risale al patto di stabilità presentato dal Tesoro a fine gennaio che stima per quest’anno un Pil all’1,1%, un debito al 116,9% e il deficit al 5%.
Da quest’anno, il Dpef sarà presentato entro il 15 settembre e si chiamerà Decisione di finanza pubblica (Dfp).

Sulle riforme interviene, come vi abbiamo raccontato, raccogliendo la risposta dei veltroniani, il presidente della Camera, Gianfranco Fini. “In Italia si avverte l’esigenza di trovare un migliore equilibrio istituzionale tra il ruolo del Parlamento e quello dell’esecutivo”. Al convegno di FareFuturo, “La Quinta Repubblica: un modello per l’Italia?”, Fini parla per la prima volta in pubblico dopo le elezioni del 28-29 marzo. L’incontro dedicato al tema del riforme ha permesso al presidente della Camera di evidenziare come nel nostro Paese “l’urgenza di affrontarle continua a scontrarsi con una discussione pubblica viziata da una stanchezza culturale e da non pochi pregiudizi di carattere politico. Quello che dovremmo cercare di importare in Italia dal modello francese – auspica ancora Fini – è la garanzia della vitalità, della lunga durata di un sistema che tenendo conto delle tradizioni e delle mutevoli esigenze della Francia ha saputo sempre riconciliare, con modalità ed effetti differenti, da un lato la rappresentanza con l’efficienza, dall’altro il parlamentarismo con la leadership”. Fini sottolinea anche le differenze tra la situazione italiana attuale e quella francese ai tempi della nascita della Quinta Repubblica: “Per quanto il dibattito sulla forma di governo possa ricalcare quello francese, in quello italiano mancano per fortuna quegli elementi di rottura e di minaccia dalle quali derivarono le decisioni del ’58: il rapporto con l’Algeria, la fase di turbolenza che attraversava Parigi in quel momento…”. Ancora, ricorda il presidente della Camera, il “contesto in cui si inserisce una eventuale revisione della forma di governo è profondamente diverso da quello degli anni ’50′-’60, quando il processo di unificazione europea era ancora agli inizi”.
Comunque, secondo Fini, la discussione italiana sul modello francese non può prescindere dalla riforma della “legge elettorale. La Quinta repubblica e il semi-presidenzialismo – conclude – possono essere un modello per il nostro Paese» a patto che la discussione non sfoci in «un’adozione amputata nei suoi meccanismi di equilibrio e garanzie”.

Mancino critica Alfano. Al centro del dibattito sulle riforme c’è anche, in questi giorni il Consiglio Superiore della Magistratura, che con il suo vice presidente, Nicola Mancino, torna a polemizzare con il ministro di Grazia e Giustizia riguardo le ispezioni nella procura di Trani. Il Csm fissa i paletti che limitano il “concreto esercizio dei poteri ministeriali di ispezione, il cui pieno riconoscimento non esclude l’esistenza di limiti”. Dichiarazione promossa con una risoluzione della Sesta Commissione, approvata con venti voti favorevoli, compreso quello del vice presidente Nicola Mancino, ritenuta dal Csm come un intervento “obbligato” in seguito l’ispezione disposta da Alfano alla procura di Trani nel corso di un’indagine.

Documento nel quale si afferma che il Guardasigilli può disporre ispezioni e inchieste negli uffici giudiziari, ma non per sindacare, tramite i suoi 007, “né il merito delle inchieste né le strategie di indagine dei pubblici ministeri, perché così si mette a rischio l’indipendenza garantita dalla Costituzione alla funzione giudiziaria”.

Palazzo dei Marescialli, nella risoluzione approvata, sottolinea “con fermezza che limiti propri dell’ispezione mirata e dell’inchiesta amministrativa derivano dall’esigenza assoluta di non mettere a rischio l’indipendente servizio della funzione giudiziaria”. Quando tali limiti vengono superati “vi sarebbe l’obbligo per il Consiglio di intervenire proprio per rilevare l’avvenuta lesione del relativo principio costituzionale”.

Il vice presidente Mancino, nonostante abbia firmato la risoluzione riconosce un “autogol commesso in partenza: la precipitazione dei consiglieri nel chiedere un intervento del Csm” sull’ispezione del ministro Alfano alla procura di Trani, in quanto questo ha provocato una una “bufera” vale a dire lo scontro con il Guardasigilli, cui è seguito il successivo intervento del capo dello Stato.

Carmine Finelli


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